[1173] • JUAN PABLO II (1978-2005) • LO LÍCITO Y LO ILÍCITO EN LA REGULACIÓN DE LOS NACIMIENTOS
Alocución Abbiamo detto, en la Audiencia General, 8 agosto 1984
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1. Hemos dicho anteriormente que el principio de la moral conyugal que la Iglesia enseña (Concilio Vaticano II, Pablo VI), es el criterio de la fidelidad al plan divino.
De acuerdo con este principio, la Encíclica “Humanae Vitae” distingue rigurosamente entre lo que constituye el modo moralmente ilícito de la regulación de los nacimientos o, con mayor precisión, de la regulación de la fertilidad, y el moralmente recto.
En primer lugar, es moralmente ilícita “la interrupción directa del proceso generador ya iniciado” (“aborto”) (Humanae vitae, 14), la “esterilización directa” y “toda acción que, o en previsión del acto conyugal, o en su realización, o en el desarrollo de sus consecuencias naturales, se proponga, como fin o como medio, hacer imposible la procreación” (Humanae vitae, 14), por tanto todos los medios contraceptivos. Es por el contrario moralmente lícito, “el recurso a los períodos infecundos” (Humanae vitae, 16): “Por consiguiente, si para espaciar los nacimientos existen serios motivos, derivados de las condiciones físicas o psicológicas de los cónyuges, o de circunstancias exteriores, la Iglesia enseña que entonces es lícito tener en cuenta los ritmos naturales inmanentes a las funciones generadoras para usar del matrimonio sólo en los períodos infecundos y así regular la natalidad sin ofender los principios morales...” (Humanae vitae, 16).
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2. La Encíclica subraya de modo particular que “entre ambos casos existe una diferencia esencial” (Humanae vitae, 16), esto es, una diferencia de naturaleza ética: “En el primero, los cónyuges se sirven legítimamente de una disposición natural; en el segundo, impiden el desarrollo de los procesos naturales” (Humanae vitae, 16).
De ello se derivan dos acciones con calificación ética diversa, más aún, incluso opuesta: la regulación natural de la fertilidad es moralmente recta, la contracepción no es moralmente recta. Esta diferencia esencial entre las dos acciones (modos de actuar) concierne a su intrínseca calificación ética, si bien mi predecesor Pablo VI afirma que “tanto en uno como en otro caso, los cónyuges están de acuerdo en la voluntad positiva de evitar la prole por razones plausibles”, e incluso escribe: “buscando la seguridad de que no se seguirá” (Humanae vitae, 16). En estas palabras el documento admite que, si bien también los que hacen uso de las prácticas anticonceptivas puedan estar inspirados por “razones plausibles”, sin embargo ello no cambia la calificación moral que se funda en la estructura misma del acto conyugal como tal.
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3. Se podría observar, en este punto, que los cónyuges que recurren a la regulación natural de la fertilidad podrían carecer de las razones válidas de que se ha hablado anteriormente; pero esto constituye un problema ético aparte, dado que se trata del sentido moral de la “paternidad y maternidad responsables”.
Suponiendo que las razones para decidir no procrear sean moralmente rectas, queda el problema moral del modo de actuar en tal caso, y esto se expresa en un acto que –según la doctrina de la Iglesia transmitida en la Encíclica– posee su intrínseca calificación moral positiva o negativa. La primera, positiva, corresponde a la “natural” regulación de la fertilidad; la segunda, negativa, corresponde a la “contracepción artificial”.
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4. Toda la argumentación precedente se resume en la exposición de la doctrina contenida en la “Humanae Vitae”, advirtiendo en ella el carácter normativo y al mismo tiempo pastoral. En la dimensión normativa se trata de precisar y aclarar los principios morales del actuar; en la dimensión pastoral se trata sobre todo de ilustrar la posibilidad de actuar según estos principios (“posibilidad de la observancia de la ley divina”, Humanae vitae, 20).
Debemos detenernos en la interpretación del contenido en la Encíclica. A tal fin es necesario ver ese contenido, ese conjunto normativo-pastoral a la luz de la teología del cuerpo, tal como emerge del análisis de los textos bíblicos.
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5. La teología del cuerpo no es tanto una teoría, cuanto más bien una específica, evangélica, cristiana pedagogía del cuerpo. Esto se deriva del carácter de la Biblia, y sobre todo del Evangelio que, como mensaje salvífico, revela lo que es el verdadero bien del hombre, a fin de modelar –a medida de este bien– la vida en la tierra, en la perspectiva de la esperanza del mundo futuro.
La Encíclica “Humanae Vitae” siguiendo esta línea, responde a la cuestión sobre el verdadero bien del hombre como persona, en cuanto varón y mujer; sobre lo que corresponde a la dignidad del hombre y de la mujer, cuando se trata del importante problema de la transmisión de la vida en la convivencia conyugal.
[DP (1984), 233]
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1. Abbiamo detto precedentemente che il principio della morale coniugale, insegnato dalla Chiesa (Concilio Vaticano II, Paolo VI), è il criterio della fedeltà al piano divino.
In conformità con questo principio, l’Enciclica “Humanae Vitae” distingue rigorosamente tra quello che costituisce il modo moralmente illecito della regolazione delle nascite o, con più precisione, della regolazione della fertilità e quello moralmente retto.
In primo luogo, è moralmente illecita “l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato” (“aborto”)1, la “sterilizzazione diretta” e “ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle conseguenze naturali si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione” (2), quindi, tutti i mezzi contraccettivi. È invece moralmente lecito “il ricorso ai periodi infecondi” 3: “Se dunque per distanziare le nascite esistono seri motivi, derivanti o dalle condizioni fisiche o psicologiche dei coniugi, o da circostanze esteriori, la Chiesa insegna essere allora lecito tener conto dei ritmi naturali immanenti alle funzioni generative per l’uso del matrimonio nei soli periodi infecondi e così regolare la natalità senza offendere i principli morali...” (4).
1. PAULI VI, Humanae vitae, 14 [1968 07 25/14].
2. Ibid.
3. Ibid., 16 [1968 07 25/16].
4. Ibid.
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2. L’Enciclica sottolinea in modo particolare che “tra i due casi esiste una differenza essenziale” (5) e cioè una differenza di natura etica: “Nel primo caso, i coniugi usufruiscono legittimamente di una disposizione naturale; nell’altro caso, essi impediscono lo svolgimento dei processi naturali” (6).
Ne derivano due azioni con qualificazione etica diversa, anzi, ad dirittura opposta: la regolazione naturale della fertilità è moralmente retta, la contraccezione non è moralmente retta. Questa differenza essenziale tra le due azioni (modi di agire) concerne la loro intrinseca qualificazione etica, sebbene il mio Predecessore Paolo VI affermi che “nell’uno e nel’altro caso, i coniugi concordano nella volontà positiva di evitare la prole per ragioni plausibili” e persino scriva: “Cercando la sicurezza che non verrà” (7). In queste parole il documento ammette che, sebbene anche coloro che fanno uso delle pratiche anticoncezionali possano essere ispirati da “ragioni plausibili”, tuttavia ciò non cambia la qualificazione morale che si fonda sulla struttura stessa dell’atto coniugale come tale.
5. PAULI VI, Humanae vitae, 16 [1968 07 25/16].
6. Ibid.
7. Ibid.
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3. Si potrebbe osservare, a questo punto, che i coniugi, i quali ricorrono alla regolazione naturale della fertilità, potrebbero essere privi delle ragioni valide, di cui si è parlato in precedenza: ciò costituisce, però, un problema etico a parte, quando si tratta del senso morale della “paternità e maternità responsabili”.
Supponendo che le ragioni per decidere di non procreare siano moralmente rette, resta il problema morale del modo di agire in tale caso, e questo si esprime in un atto che –secondo la dottrina della Chiesa trasmessa nell’Enciclica– possiede una sua intrinseca qualificazione morale positiva o negativa. La prima, positiva, corrisponde alla “naturale” regolazione della fertilità; la seconda, negativa, corrisponde alla “contraccezione artificiale”.
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4. Tutta la precedente argomentazione si riassume nell’esposizione della dottrina contenuta nella “Humanae Vitae”, rilevandone il carattere normativo ed insieme pastorale. Nella dimensione normativa si tratta di precisare e chiarire i principii morali dell’agire; nella dimensione pastorale si tratta soprattutto di illustrare la posibilità di agire secondo questi principii (“possibilità del’osservanza della legge divina”)8.
Dobbiamo soffermarci sull’interpretazione del contenuto dell’Enciclica. A tal fine occorre vedere quel contenuto, quell’insieme normativopastorale alla luce della teologia del corpo, quale emerge dall’analisi dei testi biblici.
8. PAULI VI, Humanae vitae, 20 [1968 07 25/20].
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5. La teologia del corpo non è tanto una teoria, quanto piuttosto una specifica, evangelica, cristiana pedagogia del corpo. Ciò deriva dal carattere della Bibbia, e soprattutto dal Vangelo che, come messaggio salvifico, rivela ciò che è il vero bene dell’uomo, al fine di modellare –a misura di questo bene– la vita sulla terra nella prospettiva della speranza del mondo futuro.
L’Enciclica “Humanae Vitae”, seguendo questa linea, risponde al quesito sul vero bene dell’uomo come persona, in quanto maschio e femmina; su ciò che corrisponde alla dignità dell’uomo e della donna, quando si tratta dell’importante problema della trasmissione della vita nella convivenza coniugale.
[Insegnamenti GP II, 7/2, 169-171]