[1190] • JUAN PABLO II (1978-2005) • LA CONTINENCIA PERIÓDICA
Alocución Proseguiamo l’analisi, en la Audiencia General, 7 noviembre 1984
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1. Continuemos el análisis de la virtud de la continencia a la luz de la doctrina de la Encíclica “Humanae Vitae”.
Conviene recordar que los grandes clásicos del pensamiento ético (y antropológico), tanto pre-cristianos como cristianos (Tomás de Aquino), ven en la virtud de la continencia no sólo la capacidad de “contener” las reacciones corporales y sensuales, sino todavía más la capacidad de controlar y guiar toda la esfera sensual y emotiva del hombre. En el caso en cuestión, se trata de la capacidad de dirigir tanto la línea de la excitación hacia su desarrollo correcto, como también la línea de la emoción misma, orientándola hacia la profundización e intensificación interior de su carácter “puro” y, en cierto sentido, “desinteresado”.
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2. Esta diferencia entre la línea de la excitación y la línea de la emoción no es una contraposición. No significa que el acto conyugal, como efecto de la excitación, no comporte al mismo tiempo la conmoción de la otra persona. Ciertamente es así, o de todos modos, no debería ser de otra manera.
En el acto conyugal, la unión íntima debería comportar una particular intensificación de la emoción, más aún la conmoción de la otra persona. Esto está contenido también en la Carta a los Efesios, bajo forma de exhortación, dirigida a los esposos: “Sujetaos los unos a los otros en el temor de Cristo” (Ef 5, 21).
La distinción entre “excitación” y “emoción”, puesta de relieve en este análisis, sólo comprueba la subjetiva riqueza reactivo-emotiva del “yo” humano; esta riqueza excluye cualquier reducción unilateral y hace que la virtud de la continencia pueda realizarse como capacidad de dirigir las manifestaciones tanto de la excitación como de la emoción, suscitadas por la recíproca reac tividad de la masculinidad y feminidad.
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3. La virtud de la continencia, entendida así, tiene una función esencial para mantener el equilibrio interior entre los dos significados, el unitivo y el procreador, del acto conyugal (cfr. Humanae vitae, 12), con miras a una paternidad y maternidad verdaderamente responsables.
La Encíclica “Humanae Vitae” dedica la debida atención al aspecto biológico del problema, es decir, al carácter rítmico de la fecundidad humana. Aunque esta “periodicidad” pueda llamarse, a la luz de la Encíclica, índice providencial para una paternidad y maternidad responsables, sin embargo, no se resuelve sólo a ese nivel un problema como éste, que tiene un significado tan profundamente personalista y sacramental (teológico).
La Encíclica enseña la paternidad y maternidad responsables “como verificación de un maduro amor conyugal” y, por esto, contiene no sólo la respuesta al interrogante concreto que se plantea en el ámbito de la ética de la vida conyugal, sino, como ya se ha dicho, indica además un trazado de la espiritualidad conyugal que deseamos, al menos, delinear.
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4. El modo correcto de entender y practicar la continencia periódica como virtud (o sea, según la “Humanae Vitae”, n. 21, el “dominio de sí”), decide también esencialmente la “naturalidad” del método, llamado también “método natural”: se trata de “naturalidad” a nivel de la persona. No se puede pensar, pues, en una aplicación mecánica de las leyes biológicas. El conocimiento mismo de los “ritmos de fecundidad” –aun cuando indispensable– no crea todavía esa libertad interior del don, que es de naturaleza explícitamente espiritual y depende de la madurez del hombre interior. Esta libertad supone una capacidad tal que dirija las reacciones sensuales y emotivas, que haga posible la donación de sí al otro “yo”, a base de la posesión madura del propio “yo” en su subjetividad corpórea y emotiva.
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5. Como es sabido por los análisis bíblicos y teológicos hechos anteriormente, el cuerpo humano, en su masculinidad y feminidad, está interiormente ordenado a la comunión de las personas (communio personarum). En esto consiste su significado nupcial.
Precisamente el significado nupcial del cuerpo ha sido deformado, casi en sus mismas bases, por la concupiscencia (en particular de la concupiscencia de la carne, en el ámbito de la “triple concupiscencia”). La virtud de la continencia, en su forma madura, desvela gradualmente el aspecto “puro” del significado nupcial del cuerpo. De este modo la continencia desarrolla la comunión personal del hombre y de la mujer, comunión que no puede formarse y desarrollarse en la plena verdad de sus posibilidades, únicamente en el terreno de la concupiscencia. Esto es lo que afirma precisamente la Encíclica “Humanae Vitae”. Esta verdad tiene dos aspectos: el personalista y el teológico.
[DP (1984), 318]
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1. Proseguiamo l’analisi della virtù della continenza alla luce della dottrina contenuta nell’Enciclica “Humanae Vitae”. Conviene ricordare che i grandi classici del pensiero etico (ed antropologico), sia pre-cristiani sia cristiani (Tommaso d’Aquino), vedono nella virtù della continenza non soltanto la capacità di “contenere” le reazioni corporali e sensuali, ma ancor più la capacità di controllare e guidare tutta la sfera sensuale ed emotiva dell’uomo. Nel caso in questione si tratta della capacità di dirigere sia la linea dell’eccitazione verso il suo corretto sviluppo, sia anche la linea dell’emozione stessa, orientandola verso l’approfondimento e l’intensificazione interiore del suo carattere “puro” e, in certo senso, “disinteressato”.
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2. Questa differenziazione tra la linea dell’eccitazione e la linea dell’emozione non è una contrapposizione. Essa non significa che l’atto coniugale, come effetto dell’eccitazione, non comporti nello stesso tempo la commozione dell’altra persona. Certamente è così, o comunque, non dovrebbe essere altrimenti.
Nell’atto coniugale, l’unione intima dovrebbe comportare una particolare intensificazione dell’emozione, anzi, la commozione dell’altra persona. Ciò è anche contenuto nella Lettera agli Efesini, sotto forma di esortazione, diretta ai coniugi: “Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (1).
La distinzione tra “eccitazione” ed “emozione”, rilevata in questa analisi, comprova soltanto la soggettiva ricchezza reattivo-emotiva dell’“io” umano; questa ricchezza esclude qualunque riduzione unilaterale e fa sì che la virtù della continenza possa essere attuata come capacità di dirigere il manifestarsi sia dell’eccitazione sia dell’emozione, suscitate dalla reciproca reattività della mascolinità e della femminilità.
1. Eph. 5, 21.
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3. La virtù della continenza, così intesa, ha un ruolo essenziale per mantenere l’equilibrio interiore tra i due significati, l’unitivo e il procreativo, dell’atto coniugale (2), in vista di una paternità e maternità veramente responsabili.
L’Enciclica “Humanae Vitae” dedica la dovuta attenzione all’aspetto biologico del problema, vale a dire, al carattere ritmico della fecondità umana. Sebbene tale “periodicità” possa essere chiamata, alla luce dell’Enciclica, indice provvidenziale per una paternità e maternità responsabili, tuttavia, non solo a questo livello si risolve un problema come questo, che ha un significato così profondamente personalistico e sacramentale (teologico).
L’Enciclica insegna la paternità e maternità responsabili “come verifica di un maturo amore coniugale”, e perciò contiene non soltanto la risposta al concreto interrogativo che si pone nell’ambito dell’etica della vita coniugale, ma, come è già stato detto, indica altresì un tracciato della spiritualità coniugale, che desideriamo almeno delineare.
2. Cfr. PAULI VI, Humanae vitae, 12 [1968 07 25/12].
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4. Il corretto modo di intendere e praticare la continenza periodica quale virtù (ossia, secondo l’“Humanae Vitae”, n. 21, la “padronanza di sè”) decide anche essenzialmente della “naturalità” del metodo, denominato anch’esso “metodo naturale”: questa è “naturalità” a livello della persona. Non si può quindi pensare ad una applicazione meccanica delle leggi biologiche. La conoscenza stessa dei “ritmi di fecondità” –anche se indispensabile– non crea ancora quella libertà interiore del dono, che è di natura esplicitamente spirituale e dipende dalla maturità dell’uomo interiore.
Questa libertà suppone una capacità tale di dirigere le reazioni sensuali ed emotive, da rendere possibile la donazione di sè all’altro “io” in base al possesso maturo del proprio “io” nella sua soggettività corporea ed emotiva.
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5. Come è noto dalle analisi bibliche e teologiche fatte in precedenza, il corpo umano nella sua mascolinità e femminilità è interiormente ordinato alla comunione delle persone (communio personarum). In questo consiste il suo significato sponsale.
Proprio il significato sponsale del corpo è stato deformato, quasi alle sue stesse basi, dalla concupiscenza (in particolare dalla concupiscenza della carne, nell’ambito della “triplice concupiscenza”). La virtù della continenza nella sua forma matura, svela gradatamente l’aspetto “puro” del significato sponsale del corpo. In tal modo la continenza sviluppa la comunione personale dell’uomo e della donna, comunione che non è in grado di formarsi e di svilupparsi nella piena verità delle sue possibilità unicamente sul terreno della concupiscenza. Appunto ciò afferma l’Enciclica “Humanae Vitae”. Tale verità ha due aspetti: quello personalistico e quello teologico.
[Insegnamenti GP II, 7/2, 1173-1175]