[2073] • BENEDICTO XVI (2005- • LA COMUNIÓN A LOS FIELES DIVORCIADOS VUELTOS A CASAR
Del Discurso Innanzitutto vorrei, a los sacerdotes de la Diócesis de Aosta, en la Iglesia parroquial de Introd, 25 julio 2005
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[60.]Todos sabemos que este es un problema particularmente doloroso para las personas que viven en situaciones en las que se ven excluidos de la Comunión eucarística y, naturalmente, para los sacerdotes que quieren ayudar a esas personas a amar a la Iglesia, a amar a Cristo. Esto plantea un problema.
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[61.] Ninguno de nosotros tiene una receta hecha, entre otras razones porque las situaciones son siempre diversas. Yo diría que es particularmente dolorosa la situación de los que se casaron por la Iglesia, pero no eran realmente creyentes y lo hicieron por tradición, y luego, hallándose en un nuevo matrimonio inválido se convierten, encuentran la fe y se sienten excluidos del Sacramento. Realmente se trata de un gran sufrimiento. Cuando era prefecto de la Congregación para la doctrina de la fe, invité a diversas Conferencias episcopales y a varios especialistas a estudiar este problema: un sacramento celebrado sin fe. No me atrevo a decir si realmente se puede encontrar aquí un momento de invalidez, porque al sacramento le faltaba una dimensión fundamental. Yo personalmente lo pensaba, pero los debates que tuvimos me hicieron comprender que el problema es muy difícil y que se debe profundizar aún más. Dada la situación de sufrimiento de esas personas, hace falta profundizarlo.
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[62.] No me atrevo a dar ahora una respuesta. En cualquier caso, me parecen muy importantes dos aspectos. El primero: aunque no pueden acudir a la Comunión sacramental, no están excluidos del amor de la Iglesia y del amor de Cristo. Ciertamente, una Eucaristía sin la Comunión sacramental inmediata no es completa, le falta algo esencial. Sin embargo, también es verdad que participar en la Eucaristía sin Comunión eucarística no es igual a nada; siempre implica verse involucrados en el misterio de la cruz y de la resurrección de Cristo. Siempre implica participar en el gran Sacramento, en su dimensión espiritual y pneumática; también en su dimensión eclesial, aunque no sea estrictamente sacramental.
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[63.] Y, dado que es el Sacramento de la pasión de Cristo, el Cristo sufriente abraza de un modo particular a estas personas y se comunica con ellas de otro modo; por tanto, pueden sentirse abrazadas por el Señor crucificado que cae en tierra y muere, y sufre por ellas, con ellas. Así pues, es necesario hacer comprender que, aunque por desgracia falta una dimensión fundamental, no están excluidos del gran misterio de la Eucaristía, del amor de Cristo aquí presente. Esto me parece importante, como es importante que el párroco y las comunidades parroquiales ayuden a estas personas a comprender que, por una parte, debemos respetar la indivisibilidad del Sacramento y, por otra, que amamos a estas personas que sufren también por nosotros. Asimismo debemos sufrir con ellas, porque dan un testimonio importante; ya sabemos que cuando se cede por amor, se comete una injusticia contra el Sacramento mismo y la indisolubilidad aparece siempre menos verdadera.
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[64.] Conocemos el problema no sólo de las comunidades protestantes, sino también de las Iglesias ortodoxas, que a menudo se presentan como modelo, en las que existe la posibilidad de volverse a casar. Pero sólo el primer matrimonio es sacramental: también ellas reconocen que los demás no son sacramento; son matrimonios de forma reducida, redimensionada, en una situación penitencial; en cierto sentido, pueden ir a la Comunión, pero sabiendo que esto se les concede in economia como dicen por una misericordia que, sin embargo, no quita el hecho de que su matrimonio no es un sacramento. El otro punto en las Iglesias orientales es que para estos matrimonios han concedido la posibilidad de divorcio con gran ligereza y que, por tanto, queda gravemente herido el principio de la indisolubilidad, verdadera sacramentalidad del matrimonio.
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[65.] Así pues, por una parte está el bien de la comunidad y el bien del Sacramento, que debemos respetar; y, por otra, el sufrimiento de las personas, a las que debemos ayudar.
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[66.] El segundo punto que debemos enseñar y hacer creíble también para nuestra vida es que el sufrimiento, en sus diversas formas, es necesariamente parte de nuestra vida. Yo diría que se trata de un sufrimiento noble. De nuevo, es preciso hacer comprender que el placer no lo es todo; que el cristianismo nos da alegría, como el amor da alegría. Sin embargo, el amor también siempre es renuncia a sí mismo. El Señor mismo nos dio la fórmula de lo que es amor: el que se pierde a sí mismo, se encuentra; el que se gana y conserva a sí mismo, se pierde.
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[67.] Siempre es un éxodo y, por tanto, un sufrimiento. La auténtica alegría es algo diferente del placer; la alegría crece, madura siempre en el sufrimiento, en comunión con la cruz de Cristo. Sólo aquí brota la verdadera alegría de la fe, de la que incluso ellos no están excluidos si aprenden a aceptar su sufrimiento en comunión con el de Cristo.
[Insegnamenti BXVI, I (2005), 361-363]
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Sappiamo tutti che questo è un problema particolarmente doloroso per le persone che vivono in situazioni dove sono esclusi dalla comunione eucaristica e naturalmente per i sacerdoti che vogliono aiutare queste persone ad amare la Chiesa, ad amare Cristo. Questo pone un problema.
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Nessuno di noi ha una ricetta fatta, anche perché le situazioni sono sempre diverse. Direi particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito. Ma data la situazione di sofferenza di queste persone, è da approfondire.
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Non oso dare adesso una risposta, in ogni caso mi sembrano molto importanti due aspetti. Il primo: anche se non possono andare alla comunione sacramentale non sono esclusi dallamore della Chiesa e dallamore di Cristo. Una Eucaristia senza la comunione sacramentale immediata non è certamente completa, manca una cosa essenziale. Tuttavia è anche vero che partecipare allEucaristia senza comunione eucaristica non è uguale a niente, è sempre essere coinvolti nel mistero della Croce e della risurrezione di Cristo. È sempre partecipazione al grande Sacramento nella dimensione spirituale e pneumatica; nella dimensione anche ecclesiale se non strettamente sacramentale.
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E dato che è il Sacramento della Passione di Cristo, il Cristo sofferente abbraccia in un modo particolare queste persone e comunica con loro in un altro modo e possono quindi sentirsi abbracciate dal Signore crocifisso che cade in terra e muore e soffre per loro, con loro. Occorre, dunque, fare capire che anche se purtroppo manca una dimensione fondamentale tuttavia essi non sono esclusi dal grande mistero dellEucaristia, dallamore di Cristo qui presente. Questo mi sembra importante, come è importante che il parroco e la comunità parrocchiale facciano sentire a queste persone che, da una parte, dobbiamo rispettare linscindibilità del Sacramento e, dallaltra parte, che amiamo queste persone che soffrono anche per noi. E dobbiamo anche soffrire con loro, perché danno una testimonianza importante, perché sappiamo che nel momento in cui si cede per amore si fa torto al Sacramento stesso e lindissolubilità appare sempre meno vera.
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Conosciamo il problema non solo delle Comunità protestanti ma anche delle Chiese ortodosse che vengono spesso presentate come modello in cui si ha la possibilità di risposarsi. Ma solo il primo matrimonio è sacramentale: anche loro riconoscono che gli altri non sono Sacramento, sono matrimoni in modo ridotto, ridimensionato, in una situazione penitenziale, in un certo senso possono andare alla comunione ma sapendo che questo è concesso in economia come dicono per una misericordia che tuttavia non toglie il fatto che il loro matrimonio non è un Sacramento. Laltro punto nelle Chiese orientali è che per questi matrimoni hanno concesso possibilità di divorzio con grande leggerezza e che quindi il principio della indissolubilità, vera sacramentalità del matrimonio, è gravemente ferito.
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Da una parte, dunque, cè il bene della comunità e il bene del Sacramento che dobbiamo rispettare e dallaltra la sofferenza delle persone che dobbiamo aiutare.
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Il secondo punto che dobbiamo insegnare e rendere credibile anche per la nostra stessa vita è che la sofferenza, in diverse forme, fa necessariamente parte della nostra vita. E questa è una sofferenza nobile, direi. Di nuovo occorre far capire che il piacere non è tutto. Che il cristianesimo ci dà gioia, come lamore dà gioia. Ma lamore è anche sempre rinuncia a se stesso. Il Signore stesso ci ha dato la formula di che cosa è amore: chi perde se stesso si trova; chi guadagna e conserva se stesso si perde.
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È sempre un Esodo e quindi anche una sofferenza. La vera gioia è una cosa distinta dal piacere, la gioia cresce, matura sempre nella sofferenza in comunione con la Croce di Cristo. Solo qui nasce la vera gioia della fede, dalla quale anche loro non sono esclusi se imparano ad accettare la loro sofferenza in comunione con quella di Cristo.