[1282] • JUAN PABLO II (1978-2005) • EL CARÁCTER HEREDITARIO DEL PECADO ORIGINAL
De la Alocución Grazie alle catechesi, en la Audiencia General, 24 septiembre 1986
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3. Hemos visto que de los Libros del Antiguo y del Nuevo Testamento surge otra verdad: algo así como una “invasión” del pecado en la historia de la humanidad. El pecado se ha convertido en el destino común del hombre, en su herencia “desde el vientre materno”. “Pecador me concibió mi madre”, exclama el Salmista en un momento de angustia existencial, en el que se unen el arrepentimiento y la invocación de la misericordia divina (Sal 50/51). Por su parte, San Pablo, que se refiere con frecuencia, como vimos en la anterior catequesis, a esa misma angustiosa experiencia, formula teóricamente esta verdad en la Carta a los Romanos: “Todos nos hallarnos bajo el pecado” (Rom 3, 9). “Que toda boca se cierre y que todo el mundo se confiese reo ante Dios” (Rom 3, 19). “Éramos por naturaleza hijos de la ira” (Ef 2, 3). En todos estos textos se trata de alusiones a la naturaleza humana abandonada a sí misma, sin la ayuda de la gracia, comentan los biblistas; a la naturaleza tal como se ha visto reducida por el pecado de los primeros padres, y, por consiguiente, a la condición de todos sus descendientes y herederos.
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4. Los textos bíblicos sobre la universalidad y sobre el carácter hereditario del pecado, casi “congénito” a la naturaleza en el estado en el que todos los hombres la reciben en la misma concepción por parte de los padres, nos introducen en el examen más directo de la doctrina católica sobre el pecado original.
Se trata de una verdad transmitida implícitamente en las enseñanzas de la Iglesia desde el principio y convertida en declaración formal del Magisterio en el Sínodo XV de Cartago del año 418 y en el Sínodo de Orange del año 529, principalmente contra los errores de Pelagio (cfr. DS 222-223; 371-372). Posteriormente, en el período de la Reforma, dicha verdad fue formulada solemnemente por el Concilio de Trento, en 1546 (cfr. DS 1510-1516). El Decreto tridentino sobre el pecado original expresa esta verdad en la forma precisa en que es objeto de la fe y de la doctrina de la Iglesia. Podemos, pues, referimos a este Decreto para deducir los contenidos esenciales del dogma católico sobre este punto.
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5. Nuestros primeros padres (el Decreto dice: “Primum hominem Adam”), en el paraíso terrenal (por tanto, en el estado de justicia y perfección originales) pecaron gravemente, transgrediendo el mandato divino. Debido a su pecado perdieron la gracia santificante; perdieron, por tanto, además la santidad y la justicia en las que habían sido “constituidos” desde el principio, atrayendo sobre sí la ira de Dios. Consecuencia de este pecado fue la muerte como nosotros la experimentamos. Hay que recordar aquí las palabras del Señor en Gén 2, 17: “Del árbol de la ciencia del bien y del mal no comas, porque el día que de él comieres, ciertamente morirás”. Sobre el sentido de esta prohibición hemos tratado en las catequesis anteriores. Como consecuencia del pecado, Satanás logró extender su “dominio” sobre el hombre. El Decreto tridentino habla de “esclavitud bajo el dominio de aquel que tiene el poder de la muerte” (cfr. DS 1511). Así, pues, la situación bajo el dominio de Satanás se describe como “esclavitud”.
Será preciso volver sobre este aspecto del drama de los orígenes para examinar los elementos de “alienación” que trajo consigo el pecado. Resaltemos mientras que el Decreto tridentino se refiere al “pecado de Adán” en cuanto pecado propio y personal de los primeros padres (lo que los teólogos llaman peccatum originale originans), pero no olvida describir las consecuencias nefastas que tuvo ese pecado en la historia del hombre (el llamado peccatum originale originatum).
La cultura moderna manifiesta serias reservas, sobre todo frente al pecado original en este segundo sentido. No logra admitir la idea de un pecado hereditario, es decir, vinculado a la decisión de uno que es “cabeza de una estirpe” y no con la del sujeto interesado. Considera que una concepción así contrasta con la visión personalista del hombre y con las exigencias que se derivan del pleno respeto a su subjetividad.
Y sin embargo la enseñanza de la Iglesia sobre el pecado original puede manifestarse sumamente preciosa también para el hombre actual, el cual, tras rechazar el dato de la fe en esta materia, no logra explicarse los subterfugios misteriosos y angustiosos del mal, que experimenta diariamente, y acaba oscilando entre un optimismo expeditivo e irresponsable y un radical y desesperado pesimismo.
En la próxima catequesis nos detendremos a reflexionar sobre el mensaje que la fe nos ofrece acerca de un tema tan importante para el hombre en cuanto individuo y para la humanidad entera.
[DP (1986), 183]
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3. Abbiamo visto che un’altra verità emerge dai Libri dell’Antico e del Nuovo Testamento: una sorta di “invasione” del peccato nella storia dell’umanità. Il peccato è diventato la sorte comune dell’uomo, la sua eredità “sin dal seno materno”. “Nel peccato mi ha concepito mia madre” –esclama il Salmista in un momento di angoscia esistenziale, in cui s’innesta il pentimento e l’invocazione della misericordia divina (5). A sua volta San Paolo, che spesso fa riferimento a questa stessa angosciante esperienza, come abbiamo visto nella catechesi precedente, nella Lettera ai Romani dà una formulazione teoretica di questa verità: “Tutti sono sotto il dominio del peccato” (6). “Sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio” (7). “Eravamo per natura meritevoli d’ira” (8). Sono tutte allusioni alla natura umana lasciata a se stessa, senza l’aiuto della grazia, commentano i biblisti; alla natura com’è stata ridotta dal peccato dei progenitori, e dunque alla condizione di tutti i loro discendenti ed eredi.
5. Ps. 51 (50).
6. Rom. 3, 9.
7. Rom. 3, 19.
8. Eph. 2, 3.
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4. I testi biblici sulla universalità e sul carattere ereditario del peccato, quasi “congenito” alla natura nello stato in cui ogni uomo la riceve nello stesso concepimento ad opera dei genitori, ci introducono all’esame più diretto dell’insegnamento cattolico sul peccato originale.
Si tratta di una verità trasmessa implicitamente nell’insegnamento della Chiesa sin dall’inizio, e divenuta formale dichiarazione del Magistero nel Sinodo XV di Cartagine del 418 e nel Sinodo di Orange del 529, principalmente contro gli errori di Pelagio (9). In seguito, nel periodo della Riforma tale verità è stata formulata solennemente al Concilio di Trento, nel 154610. Il Decreto tridentino sul peccato originale esprime questa verità nella forma precisa in cui essa è oggetto della fede e dell’insegnamento della Chiesa. Possiamo dunque riferirci a questo Decreto per trarne i contenuti essenziali del dogma cattolico su questo punto.
9. Cfr. DENZ.-SCHöNM., 222-223; 371-372.
10. Cfr. ibid. 1510-1516.
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5. I nostri progenitori (il Decreto dice: “Primum hominem Adam”), nel paradiso terrestre (e dunque nello stato di giustizia e perfezione originali) hanno peccato gravemente, trasgredendo il comandamento di Dio. A causa del loro peccato essi hanno perduto la grazia santificante, hanno dunque perduta anche la santità e la giustizia, nella quale erano “costituiti” sin dall’inizio, attirando su di sè l’ira di Dio. La conseguenza di questo peccato è stata la morte come noi la sperimentiamo. Bisogna qui ricordare le parole del Signore in Genesi: “Dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perchè quando tu ne mangiassi, certamente moriresti” (11). Sul senso di questo divieto ci si è intrattenuti nelle catechesi precedenti. In conseguenza del peccato satana è riuscito ad estendere sull’uomo il proprio “dominio”. Il Decreto tridentino parla di “schiavitù sotto il dominio di colui che ha il potere della morte” (12). Così dunque l’essere sotto il dominio di satana viene descritto come “schiavitù”.
Occorrerà tornare su questo aspetto del dramma delle origini per esaminare gli elementi di “alienazione” che il peccato ha portato con sè. Rileviamo intanto che il Decreto tridentino si riferisce al “peccato di Adamo” in quanto peccato proprio e personale dei progenitori (quello che i teologi chiamano peccatum originale originans), ma non tralascia di descrivere le nefaste conseguenze che esso ha avuto nella storia dell’uomo (il cosiddetto peccatum originale originatum).
È soprattutto nei confronti del peccato originale in questo secondo senso che la cultura moderna solleva forti riserve. Essa non riesce ad ammettere l’idea di un peccato ereditario, connesso cioè con la decisione di un “capostipite” e non con quella del soggetto interessato. Ritiene che una simile concezione contrasti con la visione personalistica dell’uomo e con le esigenze che derivano dal pieno rispetto della sua soggettività.
E tuttavia l’insegnamento della Chiesa sul peccato originale può rivelarsi estremamente prezioso anche per l’uomo d’oggi, il quale, avendo rifiutato il dato della fede in questa materia, non riesce più a darsi ragione dei risvolti misteriosi ed angoscianti del male, di cui fa quotidiana esperienza, e finisce per oscillare tra un ottimismo sbrigativo ed irresponsabile e un radicale e disperato pessimismo.
Nella prossima catechesi intendiamo soffermarci a riflettere sul messaggio che la fede ci offre su di un tema tanto importante per il singolo uomo e per l’intera umanità.
[Insegnamenti GP II, 9/2, 702-704]
11. Gen. 2, 17.
12. Cfr. DENZ.-SCHöNM., 1511.